giovedì 16 febbraio 2012

I primi dieci anni del Gira libro

TUTTI SUL PALCO
I bambini del terzo
circolo sono stati
protagonisti
dello spettacolo:
hanno recitato
e cantato
AL REMONDINI La festa della biblioteca del terzo circolo
I primi dieci anni di "Gira libro"

Mercoledì 15 Febbraio 2012,
Al teatro Remondini è andata in scena la festa della biblioteca Gira Libro, che ha riunito i bambini delle scuole materne e primarie del terzo circolo alla presenza dell’assessore alla pubblica istruzione e alle politiche giovanili Annalisa Toniolo.
      Grazie a un finanziamento ministeriale del 1999, la biblioteca della scuola Giovanni Pascoli ebbe i fondi necessari per ristrutturare la propria sede rendendola all’avanguardia e rispettosa delle esigenze e dei criteri previsti per i più piccoli.
      L’ inaugurazione, avvenuta il 31 ottobre 2002, diede il via alla voglia di festeggiare annualmente il compleanno della biblioteca che è arrivata a compiere i suoi primi dieci anni.
      «Questa festività - spiega l’organizzatrice della giornata, l’insegnante Maria Bortignon - si propone di far conoscere al territorio la biblioteca e le sue attività. È nostra intenzione sottolineare come la cultura debba costruirsi concretamente, insegnando ai bambini quanto è importante leggere e guardarsi attorno».
      Nel tempo la festa della biblioteca ha cambiato sede e organizzazione: sono ormai tre anni che il teatro Remondini ospita i piccoli lettori, aperto a chiunque sia interessato. La festa ha visto i bambini, nei panni di piccoli interpreti, deliziare il pubblico col canto “Il topo con gli occhiali” e con “La canzone dei libri”. Il testimone è poi passato alle insegnanti che si sono cimentate nella lettura animata del “Re 33 e i suoi 33 bottoni d’oro”, invito ad ascoltare, immaginare e riflettere sul valore della diversità di ogni persona. Infine lo spettacolo “La piccola puzzola con i pantaloni blu”, animato dal gruppo “Teatro le nuvole”, è terminato con una riflessione sull’importanza del saper stare insieme agli altri e con un monito ecologico: “Le cose non vanno lasciate dove capita, neanche nel bosco”.
      Gli spettatori, soprattutto i più piccoli, si sono rivelati ascoltatori divertiti e ottimi consiglieri di fronte alle domande retoriche poste dai diversi personaggi. Alla fine il dono dei libri ai diversi poli del circolo. (st)

Facciamo il punto.

Il mese di Gennaio in tre punti

Eurispes fornisce alcuni dati, riguardanti i traffici della camorra, secondo i quali l’organizzazione criminale guadagna 7.230 milioni di euro per traffico di droga, 2.582 milioni da imprese e appalti pubblici, 2.066 milioni per traffico di armi, 258 milioni da prostituzione, 362 milioni da estorsione e usura.

Wikipedia fornisce alcuni dati, riguardanti l’ Iran e la pena capitale, secondo i quali lo stato compie oltre 300 esecuzioni all'anno, molte delle quali rimangono nell’ombra. Ciò significa che in Iran, in seguito alla condanna decisa da un tribunale, ad un essere umano è dato di togliere la vita ad un suo simile. I metodi permessi sono impiccagione e fucilazione, poiché la lapidazione è stata benevolmente depennata dalle possibilità nel 2003.

20 gennaio - Castellammare di Stabia, un comune in provincia di Napoli, festeggia il santo patrono. La statua di San Catello, nel rispetto della tradizione, sosta per alcuni minuti davanti alla cappella di Santa Fara che si trova, suo malgrado, proprio sotto il balcone del temutissimo e rispettatissimo boss mafioso Renato Raffone, 78 anni, consuocero del defunto padrino Michele D’Alessandro. “Battifreddo”, vestito di scuro, in testa un cappello nero, ringrazia con un cenno l’omaggio alla chiesetta di cui si cura personalmente la sua famiglia e, dall’alto del suo balcone, nota l’irritato sindaco della città.

La condanna a morte serva da monito per l’omicidio, per i reati legati allaprostituzione, alla droga, all’ estorsione, alla corruzione, al contrabbando, al terrorismo, agli atti incompatibili con la castità ( quindi pornografia,adulteriostuproomosessualità), alla blasfemia, all’ apostasia dall'Islam.
-BLASFEMIA= “ingiuria”, parola da cui deriverà poi, in latino DIFFAMAZIONE, termine giuridico che designa una forma di espressione portatrice di lesioni all'onore di una persona o di un’ istituzione.
-APOSTASIA= abbandono formale e volontario della propria religione.




E se la religione decidesse di “inchinarsi” a chi uccide, vende, spaccia, ruba, compra? E se un vescovo, ad esempio Felice Cece, decidesse di non fare eccezioni al protocollo, di sostare davanti alla Cappella di Santa Fara?
Il sindaco Pdl Luigi Bobbio, indignato, dice no. Si sfila il tricolore, ritira lostendardo e abbandona il corteo religioso ricevendo anche insulti e urla del tipo “non sei neanche stabiese!” di qualche popolano.
29 gennaio – E se invece si insultasse, a quanto pare pure per sbaglio, la religione? Sarebbe possibile perdonare? Magari ammonire? Se un giovane uomo sposato ammettesse di essere colpevole, confessando il falso per darsi così la salvezza, potrebbe lui essere assolto?
In Iran è la morte sempre e comunque.
Saeed Malekpour, 35 anni, programmatore canadese di origine iraniana viene accusato di aver diffuso materiale pornografico tramite un software da lui creato. Nel 2008 rientra in Iran per far visita alla famiglia, viene arrestato e accusato di gestire il sito pornografico Avizoun e di sostenerne altri. È il processo per insulto alla religione e pubblicazione di materiali stranieri immorali e antireligiosi. Presto sarà la condanna.
Dopo un anno di carcerazione l’uomo confessa il coinvolgimento nella creazione del sito a luci rosse, ma tutt’ora si dubita dell’ autenticità delle sue parole poiché egli stesso in una lettera scrive: “Una larga parte della mia confessione è stata estratta sotto pressione, tortura fisica e psicologica, minacce a me e alla mia famiglia, e false promesse di un rilascio immediato se avessi rilasciato una falsa confessione sottoscrivendo qualsiasi cosa gli interroganti stessero dettando”.


23 gennaio – E se un funzionario statale, un console generale di Osaka ad esempio, un Mario Vattani qualunque si lasciasse andare a canti tipici del Ventennio fascista creandosi così attorno una presunta identità da leader di un gruppo fascio-rock? E se questi, effettivamente, inneggiando alla bandiera nera si facesse riprendere a CasaPound, centro sociale di estremissima destra?
Inneggio alla bandiera nera. Fa riflettere.  “Lode alla dittatura” da parte di un console generale il cui compito dovrebbe essere quello di farsi portatore dei diritti e dell’immagine del proprio Stato in terra straniera.  Non è da considerarsi una sorta di “diffamazione” contro lo stato? la storia? il popolo ebraico? Senza contare che l'apologia del fascismo è ancora da considerarsi un reato secondo la legge del 20 giugno 1952, n. 645. Essa, detta anche Legge Scelba, all'art. 4 sancisce il reato commesso da chiunque «faccia propaganda per la costituzione di un'associazione, di un movimento o di un gruppo avente le caratteristiche e perseguente le finalità di riorganizzazione del disciolto partito fascista», oppure da chiunque «pubblicamente esalti esponenti, princìpi, fatti o metodi del fascismo, oppure le sue finalità antidemocratiche». “È ancora da considerarsi reato” nonostante il 29 marzo 2011 sia stato presentato in parlamento un disegno di legge che intende abrogare la XII Disposizione transitoria e finale della Costituzione che, appunto, vieta la ricostituzione del Partito Fascista.

Concluderei con una citazione dal libro di Albert Camus L’Étranger del 1942 in cui per il protagonista Meursault, dopo aver causato la morte di un arabo, viene decisa la pena di morte. “Secondo lui la giustizia degli uomini non era nulla e la giustizia di Dio era tutto. Gli ho fatto notare che era la prima che mi aveva condannato”. Per riflettere.

Midnight with Woody

Nel dover recensire l’ultimo film di Woody Allen, ‘Midnight in Paris’, sono quantomeno combattuta tra approvazione e censura ad una creazione che ai miei occhi talvolta appare ridondante e scontata.
Il monologo in apertura rende di facile individuazione la mano del regista che si lascia andare fin da subito ad una dichiarazione d’amore nei confronti della città in cui è ambientata la storia, Parigi. Gil, protagonista del film, è sempre stato sceneggiatore, ma di recente si è concesso un tentativo per emergere come scrittore. Egli è fidanzato con Ines; insieme si trovano a Parigi per una breve vacanza da vivere alle spese del padre di lei, borghese e repubblicano. Gil non sembra piacere molto ai genitori di Ines che non appoggiano né la proposta di trasferirsi a vivere nella capitale francese né la nuova carriera da lui intrapresa che al momento lo connota solo come uno scrittore fallito incapace di far leggere ciò che scrive. È chiaro fin dal principio che la coppia Ines - Gil manca di chimica: lui ama la pioggia e in particolare Parigi sotto la pioggia, lei non concepisce l’idea di dover uscire col bagnato, lui sembra prendere le parti della servitù: ‘ecco perché papà dice che sei un comunista!’ mentre lei è disposta a spendere una cifra ruotante attorno ai 20.000 dollari per una sedia -nonostante non abbiano ancora una casa e divergano sul continente in cui vivere- e lamenta la collana in pietra lunare da lui regalatale, perché ‘se è cheap è cheap!’. Dopo la degustazione di vini condotta in compagnia dei suoceri e di una coppia di amici di Ines Gil, lasciato solo dalla fidanzata, inizia a vagabondare per le vie di Parigi e, ancora inebriato dal vino, vi si perde. Al rintocco della mezzanotte si trova seduto sugli scalini di una chiesa ed è in quell’istante che passa di là una macchina d’epoca i cui passeggeri lo invitano a unirsi a loro. Gil diviene una sorta di Cenerentola del 2011 e da questo momento in poi, per il nostro protagonista, avranno inizio una serie di fortunosi incontri che lo porteranno a vedere e conoscere alcuni dei più famosi scrittori, artisti e musicisti del primo Novecento: Hemingway, Scott e Zelda Fitzgerald, Picasso. Il film si infittisce così di personaggi che si presentano a Gil con una tale velocità da lasciare però perplessi. Talvolta infatti di tali grandi del passato non resta altro che un viso, impresso nella mente dello spettatore per una battuta più o meno simpatica quale ‘io ci vedo un rinoceronte!’ del grande Dalì. Inoltre nomi e citazioni si accavallano l’un l’altro tanto da risultare di difficile apprezzamento a chi manchi di una cultura artistica, cinematografica e letteraria.
Arrivato una sera a casa di Gertrude Stein a Gil viene data la possibilità di portarle il manoscritto del suo romanzo per averne un parere, è lì che conosce Adriana, la Adriana che fu amante di Modigliani prima, di Picasso poi. Il giorno seguente Gil tenta di condurre anche la propria compagna a conoscere i suoi miti, ma i due arrivano troppo presto e Ines, infastidita, se ne torna in albergo sottolineando la stranezza del comportamento e il ‘penserei che hai un tumore al cervello’. L’unica infatti a non dare troppo peso al comportamento di Gil è proprio la fidanzata che, anzi, ne approfitta per uscire tutte le sere con l’amico americano. Avendo preso una cotta per Adriana, Gil sale su una carrozza e la segue nel mondo da lei vagheggiato: la belle epoque di Parigi. Lì emergono altri personaggi, altri nomi quali Lautrec, Degas, Gauguin e Gil, trovandosi costretto a scegliere tra quella realtà e quella del 2000, decide di dividersi dall’innamorata per tornare al suo mondo e lasciare definitivamente una fidanzata che forse non ama e con la quale non va sicuramente d’accordo. Nel finale, scontato e prevedibile, la pioggia che inizialmente era stata oggetto di dissenso tra i due fidanzati sembra ora unire Gil e Gabriella, la dolce bionda parigina venditrice di vinili conosciuta grazie alla musica di Cole Porter.
Secondo la definizione data dall’amico pedante di Ines, Gil è inizialmente affetto dalla ‘sindrome da epoca d’oro’: infatti anche nel libro che è intento a scrivere egli si propone di raccontare la storia di un ‘negozio nostalgia’, un negozio in cui si vendono oggetti del passato, cose vecchie. Questa sua attitudine a voler rivivere e rievocare il passato, la cui epoca d’oro viene da lui individuata negli anni ’20, lo porta ad esaltare la fuga e il sogno ad occhi aperti, a vagheggiare un’altra esistenza diversa dalla sua. Sarà proprio questo forte desiderio a trasportarlo in un’altra dimensione che, però, si rivelerà fonte del disincanto: Gil si rende conto che un confronto col presente è necessario, che non basta fuggire e che, come lui, anche i grandi del passato avrebbero voluto vivere in un’altra epoca quale la belle epoque o la Renaissance. In realtà rimane il dubbio però che a Gil si sia prospettata un’occasione mancata.
In termini di ricerca di nuovi luoghi in cui vivere, è stato fatto un parallelo con un episodio dell’opera di Antoine de saint Exupery, Il piccolo principe, in cui il casellante sostiene come nessuno sia mai realmente contento del luogo in cui si trova a vivere.
Nel complesso, a mio parere, l’idea che soggiace a ‘Midnight in Paris’ è originale e diversa dagli altri film alleniani, ma  penso che l’escamotage del battito dell’orologio a mezzanotte manchi di consistenza narrativa, che sia illogico e ripetitivo. Non bisogna inoltre lasciar correre la superficialità  dell’elevato numero di incontri capitati a Gil, che potrebbero dire molto, ma che si concludono con un senso di vuoto. Forse la simpatia e l’ammirazione spesso provati nei confronti del regista annebbia quella che è la realtà di questo film che, in fin dei conti, forse dovrebbe colpire più per la fotografia e l’ambientazione parigina che per la storia in sé. 

La stanza della duchessa

«Si racconta di un amore mancato. Si racconta di centinaia di scarpe acquistate solo per poterlo vedere. Si racconta di una famiglia frapposta da sempre al loro amore. Si racconta della solitaria morte di una duchessa circondata da quelle calzature che sole le ricordavano lui»
Recita la targa al numero 8 di via D.Malinconia.
“È una storia vera mamma?”
“Non saprei cara, quando arriverà la signorina potrai chiederglielo. Forse lei saprà risponderti”.
“Scusi…”, mi appendo ad una manica azzurra. Voltandosi, dalla gialla matassa di capelli, fa capolino il viso di una signora truccatissima, con labbra e occhi pestati di marrone; la guardo dall’alto al basso: porta tacchi altissimi e un foulard colorato al collo. Mi scruta: “Dimmi pure…”.
“Volevo solo capire, quella storia della duchessa e del calzolaio, quella storia lì” dico puntando l’indice alla targhetta appesa al muro, “è una storia vera? E poi, è successo proprio qui?”
La signora bionda, truccatissima con labbra e occhi pestati di marrone, tacchi altissimi e un foulard colorato al collo mi sorride: “Tieni -mi porge un foglietto- qui è raccontata tutta la storia!”.
La storia dei duchi di Malinconia ha inizio molti anni fa. Ma la vera storia, la storia d’amore, la storia che tutti amano leggere e raccontare, storpiare e decorare ha la sua data. Era il lontano 1878, l’ 8 dicembre del 1878 quando Desirée, futura duchessa del ducato di Malinconia, scendendo le scale di Santa Maria in Colle poggiò maldestramente il piede e ruppe il tacco della scarpa. Capricciosa com’era, non si riuscì in alcun modo a distorcerle l’idea di doverla aggiustare subito; bisognava correre di necessità dal calzolaio più vicino, e che fosse anche “il più bravo!”, per farle sistemare entro la sera stessa la calzatura. Camminando e zoppicando in gran fretta la signorina Desirée e le sue accompagnatrici arrivarono fin da Marco, mastro calzolaio. Fu in quel momento che i due si innamorarono: lui di lei, lei di lui. Il tacco non risultò più così importante come lo era stato fino a poco tempo prima e da quel giorno numerose calzature divennero oggetto di riparazioni, modifiche, cambiamenti…
-“Sofia muoviti! È tornata la signorina!” Impaziente scorsi il resto del racconto:
…dopo le prime visite dal calzolaio, Desirée iniziò a pensare di essersi ingannata, volle credere, e fece di tutto per convincersene, che non fosse realmente possibile un amore come quello, un amore che lei stessa spesso definì ‘platonico e assurdo’ per la natura del rapporto che la legava al mastro. Nel tentativo di riuscire a dimenticare l’uomo che tanti scompensi le aveva provocato nel cuore, Desirèe rese i suoi ‘bisogni calzolai’ sempre più rari. Ella, solo dopo aver constatato la vera dipendenza d’amore e l’inguaribile desiderio, venne a sapere del matrimonio di Marco con una donna del paese. Lasciata sola e disillusa nel suo sogno di gioia decise di abbandonarsi, dopo poco tempo, alle spinte della famiglia affinché sposasse un uomo che non amava e che non conosceva. A Desirée, ormai lontana da ogni speranza di felicità, restò solo la gioia procuratale dal comprare scarpe, dal poter vedere il suo calzolaio e unico vero amore dietro il bancone della bottega. La stanza della duchessa, luogo in cui ella accatastò per anni scarpe su scarpe, unica distrazione di un’esistenza ormai priva di affetti, è questa che voi ora potete vedere e frequentare liberamente. Se, camminando tra gli scaffali del negozio, doveste sentirvi colti da una lieve malinconia, pensate a Desirèe che per anni non trovò altro antidoto alla propria tristezza che nelle scarpe di questo stesso negozio.
“Eccomi! Stavo leggendo la storia del negozio” dissi. “Il 34 mi sembra che vada bene!” aggiunsi.
“Ne sei sicura?La signorina le ha cercate in magazzino fin’ora..”
“Sicurissima mamma”, non avevo alcun dubbio.
“Allora, signora, se intanto volete finire il giro in negozio gliele porto in cassa!”. Ringraziai come mi era stato insegnato la commessa con i tacchi altissimi e il foulard colorato al collo. “Mamma -dissi- però è triste questa storia della tipa che si innamora di uno ma che alla fine non lo può sposare, no?”
“si tesoro, tristissima..” la vedo sospirare e poi “signorina!”, richiama la commessa “mi tenga da parte anche questo paio di scarpe!”.

venerdì 6 gennaio 2012

Pini a Natale

Pasta, presa; mozzarelle, prese; acqua, presa; ricotta.. “Eagle prendi la ricotta!”; yogurt, preso.
“Io ho finito, possiamo salire se hai fatto!” Anche Eagle ora ha tutto quello che le mancava. “Flo, le vuoi due carotine per fare merenda?” mi chiede. No, non mangio le carotine il pomeriggio. Saliamo le scale: ”Che ne dici di una bottiglia di Martini? Abbiamo anche il succo!” così lo prendiamo, il Martini. Controllo quanti soldi ho nel portafoglio, 25 euro, devono bastarmi per il resto della settimana, è solo martedì. Arriviamo alla cassa, cerco di liberarmi della moneta, ma come al solito mi manca un centesimo “lascia stare, faccio prima così” mi dice la cassiera dai capelli rosso-SirenettaDisney; “ok, scusa”, mi sorride. La saluto ed esco. Dimentico qualcosa...è la cara Eagle! Che fine ha fatto? Mi giro, la cerco, eccola! Sta parlando con una vecchina, ‘intanto apro il portone di casa’, mi dico.
Abitiamo davanti al supermercato, io e Eagle. Appoggio a terra la borsa con la spesa e mi frugo in tasca alla ricerca delle chiavi perdute: un foglietto? No. Penna? No. Cellulare? No. Dove sono le chiavi? Sospiro. Mi guardo attorno. Sta arrivando il Natale, lungo tutti i marciapiedi hanno messo un tappeto, è rosso, da colore alle strade e permette alla gente, come alla cara Eagle, di pulircisi le scarpe dopo essere scivolata su una merda in un affollato pomeriggio di dicembre. La mia via sembra aver fatto indigestione di luci, deve essere una delle vie della città che ha deciso di addobbarsi per il Natale. Da questo pomeriggio ci sono anche dei ragazzi che si danno il turno per aprire dei mini abeti, ce n’è uno ogni due metri, di abete. Sono arrivati ora davanti al nostro portone rosso.
Ma dove sono le chiavi? A momenti inizio ad imprecare, quando alzo lo sguardo e..mi innamoro! Il ragazzo degli alberi di Natale mi fa innamorare! Tutto accade in un attimo... subito dopo trovo le chiavi, arriva Eagle: “Flo apri la porta che pesa!!”, entriamo e lasciamo che il portone rosso ci si chiuda alle spalle. Ora non ci restano che le scale.
“Mi sono innamorata del tizio dei pini!” le dico.
“Io non ho visto nessun pino” mi risponde.

Dopo l'esame

5 Luglio. Fuori è impossibile stare, non ho idea di quanti gradi ci siano, ma fuori è proprio impossibile stare.
Ho appena fatto un esame, erano mesi che dovevo darlo e ancora non mi sentivo pronta, per fortuna ho deciso di provarlo lo stesso, è andato bene.
Sono le tre del pomeriggio e ho il primo treno alle 16.45.
Mi avvio in stazione, in facoltà non c’è nessuno con cui poter fare due parole e comunque fa troppo caldo anche solo per pensare di riuscire a farmi passare l’esammalditesta che mi tormenta da stamattina.
Arrivo. Non mi ricordo di aver mai patito tanto caldo. Si aprono automaticamente le porte a vetro dell’anti stazione..è come se mi si fossero aperte le porte del paradiso: è tutto climatizzato! Timbro il biglietto, non si sa mai, se poi mi dimentico “sono 50 euro se paga subito, 100 se non li ha al momento!” come se gli studenti, poveri squattrinati, girassero sempre col portafoglio pieno di soldi.
Al paradiso della mia prossima ora, però, mancano delle panche per sedersi, così mi siedo sugli scalini del binario zero, anche se in realtà è il primo. Le sedie sono tutte occupate, però quello scalino è il posto giusto, non c’è “brutta gente” e poi non sono l’unica ad essere seduta per terra, ci sono bambini e altri stanchissimi studenti. Una signora sulla quarantina con un dente color oro e una sigaretta quasi spenta in mano mi si avvicina con un bicchiere della coca cola di cartone per farmi l’elemosina.. mi limito a rispondere “mi spiace, nessuno spicciolo..” le faccio una sorta di sorriso.
Intenta a sistemare tutte le cose che mi si erano aggiunte a quelle che già avevo in mano, rispondo ad una chiamata, quando un signore di una certa età mi si avvicina: “fa caldo oggi eh? Poveri studenti..” Lo guardo e rispondo con un sorriso; non è molto alto, somiglia al mio professore di storia contemporanea. “Ma non avete ancora finito gli esami?” Lo guardo meglio, è completamente senza denti. “Ormai dovrebbero mancare un paio di settimane vero?” Si, è proprio senza denti, mi pare ne abbia quattro..come farà a mangiare?! Distratta dai suoi denti ed eventuali problemi col cibo, rispondo con un certo ritardo rispetto alla domanda; ha un viso simpatico. Comincia a parlarmi, non mi dispiace mai fare due parole con gli sconosciuti, meglio ancora se anziani, dispensano pillole di saggezza. Gli do un po’ di corda e lui comincia a raccontarmi della sua vita: ha studiato in un istituto tecnico meccanico dai preti e proprio lì ha preso il vizio del fumo, è riuscito a smettere solo da due settimane: ha fatto un incidente ed è stato in coma per due giorni, si è ‘rotto tutto dentro’ e ora è obbligato a smettere.
Mi piace parlargli, cedo alla confidenza. Non mi ha ancora detto di dov’è.
Hanno inizio le solite domande: “Di dove sei? Cosa studi? Com’è che studi lettere se poi non hai intenzione di andare ad insegnare?”
“Lo faccio perché mi piace.. e poi non ho la pazienza per andare ad insegnare”.
“L’avevo capito subito che non hai pazienza, si vede! sei un sagittario vero? Hai bisogno del tuo spazio e ti scocciano quelli che vengono a farti i conti in tasca e a darti consigli..sei come me, anche io sono del sagittario, 15 dicembre, pensati che non mi sono mai sposato, penso che sia impossibile riuscire a trovare qualcuno con cui stare bene tutta la vita, credo sia solo ipocrisia..”.
Questo simpatico ometto comincia a mettermi ansia, intanto ha indovinato che sono del sagittario e poi sta mettendo in campo questioni abbastanza rognose.
“Quando stavo a Roma, sono stato per un po’ con una ragazza, poi però sono dovuto partire per il sud America, non ci siamo lasciati con promesse, io credo che sia giusto così: se due persone devono ritrovarsi, prima o poi si troveranno..e poi è giusto che se un ragazzo ha una simpatia per un’altra persona, ci esca e stia bene. Quando vivevo a Firenze sono stato con una francese, mi piaceva stare con lei, parlavamo di arte, dell’Italia, lei era così intelligente, non lo facevo per farmela sai; non mi interessava, infondo le donne non servono mica solo a quello, no?”
“Aahahah..” scoppio a ridere, un signore con 4 denti che parla così?! Rido.
“Non dirmi che hai il ragazzo perché non ci credo..non sei una da ragazzo, te lo dico io!”
“Il ragazzo ce l’ho..”
“Guarda che gli uomini sono tutti dei coglioni!!” e ride. “Insomma, ne hai trovato uno con le palle eh? Però sta attenta..non sei fatta per stare troppo insieme a una persona, sei giovane..come hai detto che ti chiami?”
“Stefania..”
“Stefania, mi raccomando, non dire mai ‘ormai’, ormai niente! Io ho smesso di fumare dopo 50 anni. Però, dì la verità, prima di lui, quanti ne hai mandati a cagare??” e ride.
Nel tempo che parlavamo, al binario zero della stazione di Padova - che in realtà sarebbe sempre il primo- era partito e già era arrivato un altro treno; “ma che treno è questo??”
Il vecchio signore corre verso il tabellone, mi urla un “ciao Stefania! Buona fortuna!” e sparisce.
Non so come si chiama, non mi interesso di guardare dove va quel treno, mi alzo, sorrido, mi fermo davanti alle porte a vetro scorrevoli dell’anti stazione e torno in paradiso. Aspetterò lì, in piedi, il mio “ragazzo con le palle” per poi salire in treno e raccontargli tutto sul mio incontro col signore dai soli 4 denti. Io, però, ai legami ci credo.

Prima dell'esame

Salgo in treno, è tardi, non c’è quasi nessuno. Meglio, ho un esame e devo ripassare. Tiro fuori il libro e comincio a leggere. Non faccio nemmeno in tempo a farmi venire un po’ di ansia che un signore molto distinto sulla sessantina o poco più mi chiede se il posto davanti al mio è libero. Mi guardo attorno, tutto il treno è vuoto..”certo” rispondo, e sorrido. Continuo a leggere. “Studi lettere?” mi chiede. Lo sapevo, ogni volta che ho da fare qualcosa o non ho voglia di chiacchiere o sono semplicemente stanca arriva qualcuno a parlarmi. Ha un accento strano, non deve essere italiano, anche il vestito che porta non lo rende passibile di italianità, sembra il tipico inglese..è un bel signore, molto distinto.
“Si, ho un esame, tra un paio d’ore”. Neanche l’avessi fatto apposta lui si sente libero e mi investe di domande di ogni tipo, di ogni tipo. Che esame è? E ti piace Platone? Ma dai, sai che insegno letteratura greca a Londra? Eccolo lì! Ci avevo visto giusto, è inglese. Continua con le domande, siamo a Cittadella, 45 minuti e saremo a Padova, dovevo ripassare, ma sembra valerne la pena. Metto via i libri e mi abbandono alle chiacchiere. È a Bassano per studio, sta facendo una ricerca su Shakespeare e ora starà a Padova da alcuni amici ex colleghi di lavoro per un breve periodo. Cosa fai nel tempo libero? E come ti muovi? Ti piace fare sport? Che musica ascolti? E i tuoi genitori? Che lavoro fanno? Mh, si fa un po’ invadente. Leggermente infastidita, gli rispondo. Mi sorride, continua “e il ragazzo, ce l’hai?” sembra un capitolo inaffrontabile quello del “ragazzo-e-ce-l’hai”. “Si”, sorrido, forse sorrido troppo. Riparte: e come si chiama? Di dov’è? Quanto lo vedi? E i suoi genitori? Ha fratelli? E cosa studia? Da quanto state assieme?
“Quattro anni”.
“Quattro anni?”
Ripeto: “Quattro anni”.
Mi guarda. Non ho mai ripetuto tante volte “quattro anni”. “E non ti stanchi? Non vi siete mai lasciati? Litigate spesso?” Mi bombarda di domandine, faccio un po’ di confusione, inoltre devo urlare le risposte un po’ perché non capisce benissimo l’ialiano un po’ perché sembra duro d’orecchi, ne consegue che tutto il treno, che nel corso di 7 fermate si è arricchito di gente, sa a grandi linee un po’ tutto della mia vita.
“E lo ami?” Oddio. Lo guardo. E lo ami? Mh. Ma che domande sono? Mi gratto il naso. Quando sono in difficoltà mi passo l’indice destro sotto il naso, sinistra-destra-sinistra-destra e inspiro convulsamente. Divento progressivamente rossa, e non di un rosso normale, sia esso più o meno acceso, ma a macchie; rossa, a macchie. Una cosa imbarazzantissima, tipo indigestione di fragoline di bosco o di mele (una volta mia sorella si mangiò una cosa come 6 mele in un giorno e assunse la fisionomia che prendo io ad ogni complimento, titubanza, domanda indiscreta). Mi sento salire una vampata, corro ai ripari e mi metto una sciarpa attorno al collo, ci manca solo che si metta ad urlare “come mai signorina è arrossita??”.
Si aspetta una risposta: “lo amo, si” gli dico.
Tace. Siamo ormai a Vigodarzere. Non immagino cos’altro potrebbe chiedermi.
“Hai un foglio e una penna Stefania?”, gli do foglio e penna. Scrive. Sbircio. Non ci vedo. Piega il foglio e me lo porge. “Ti ho lasciato il mio numero di casa e di cellulare, la mia e-mail e l’indirizzo di Londra e Dublino. Vieni a trovarmi”.
Sbianco, o avvampo, non lo so. Non lo voglio sapere. Lui non dice altro. Mi guarda. Sorrido, mi sento cretina. “Fermata di fine corsa: Padova”. Scendo, mi ringrazia, due baci, un saluto, “scrivimi”, e se ne va.
Non gli ho mai scritto, ma il suo numero è ancora dentro il portafoglio, un ricordo.