venerdì 6 gennaio 2012

Prima dell'esame

Salgo in treno, è tardi, non c’è quasi nessuno. Meglio, ho un esame e devo ripassare. Tiro fuori il libro e comincio a leggere. Non faccio nemmeno in tempo a farmi venire un po’ di ansia che un signore molto distinto sulla sessantina o poco più mi chiede se il posto davanti al mio è libero. Mi guardo attorno, tutto il treno è vuoto..”certo” rispondo, e sorrido. Continuo a leggere. “Studi lettere?” mi chiede. Lo sapevo, ogni volta che ho da fare qualcosa o non ho voglia di chiacchiere o sono semplicemente stanca arriva qualcuno a parlarmi. Ha un accento strano, non deve essere italiano, anche il vestito che porta non lo rende passibile di italianità, sembra il tipico inglese..è un bel signore, molto distinto.
“Si, ho un esame, tra un paio d’ore”. Neanche l’avessi fatto apposta lui si sente libero e mi investe di domande di ogni tipo, di ogni tipo. Che esame è? E ti piace Platone? Ma dai, sai che insegno letteratura greca a Londra? Eccolo lì! Ci avevo visto giusto, è inglese. Continua con le domande, siamo a Cittadella, 45 minuti e saremo a Padova, dovevo ripassare, ma sembra valerne la pena. Metto via i libri e mi abbandono alle chiacchiere. È a Bassano per studio, sta facendo una ricerca su Shakespeare e ora starà a Padova da alcuni amici ex colleghi di lavoro per un breve periodo. Cosa fai nel tempo libero? E come ti muovi? Ti piace fare sport? Che musica ascolti? E i tuoi genitori? Che lavoro fanno? Mh, si fa un po’ invadente. Leggermente infastidita, gli rispondo. Mi sorride, continua “e il ragazzo, ce l’hai?” sembra un capitolo inaffrontabile quello del “ragazzo-e-ce-l’hai”. “Si”, sorrido, forse sorrido troppo. Riparte: e come si chiama? Di dov’è? Quanto lo vedi? E i suoi genitori? Ha fratelli? E cosa studia? Da quanto state assieme?
“Quattro anni”.
“Quattro anni?”
Ripeto: “Quattro anni”.
Mi guarda. Non ho mai ripetuto tante volte “quattro anni”. “E non ti stanchi? Non vi siete mai lasciati? Litigate spesso?” Mi bombarda di domandine, faccio un po’ di confusione, inoltre devo urlare le risposte un po’ perché non capisce benissimo l’ialiano un po’ perché sembra duro d’orecchi, ne consegue che tutto il treno, che nel corso di 7 fermate si è arricchito di gente, sa a grandi linee un po’ tutto della mia vita.
“E lo ami?” Oddio. Lo guardo. E lo ami? Mh. Ma che domande sono? Mi gratto il naso. Quando sono in difficoltà mi passo l’indice destro sotto il naso, sinistra-destra-sinistra-destra e inspiro convulsamente. Divento progressivamente rossa, e non di un rosso normale, sia esso più o meno acceso, ma a macchie; rossa, a macchie. Una cosa imbarazzantissima, tipo indigestione di fragoline di bosco o di mele (una volta mia sorella si mangiò una cosa come 6 mele in un giorno e assunse la fisionomia che prendo io ad ogni complimento, titubanza, domanda indiscreta). Mi sento salire una vampata, corro ai ripari e mi metto una sciarpa attorno al collo, ci manca solo che si metta ad urlare “come mai signorina è arrossita??”.
Si aspetta una risposta: “lo amo, si” gli dico.
Tace. Siamo ormai a Vigodarzere. Non immagino cos’altro potrebbe chiedermi.
“Hai un foglio e una penna Stefania?”, gli do foglio e penna. Scrive. Sbircio. Non ci vedo. Piega il foglio e me lo porge. “Ti ho lasciato il mio numero di casa e di cellulare, la mia e-mail e l’indirizzo di Londra e Dublino. Vieni a trovarmi”.
Sbianco, o avvampo, non lo so. Non lo voglio sapere. Lui non dice altro. Mi guarda. Sorrido, mi sento cretina. “Fermata di fine corsa: Padova”. Scendo, mi ringrazia, due baci, un saluto, “scrivimi”, e se ne va.
Non gli ho mai scritto, ma il suo numero è ancora dentro il portafoglio, un ricordo.

Nessun commento:

Posta un commento